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Cannes 2011: arriva l’horror almodovariano

Mancano tre giorni alla conclusione del sessantaquattresimo Festival di Cannes, ma i grandi nomi non mancano in questa fase conclusiva della manifestazione. Oggi è stato il turno di Pedro Almodovar che ha presentato in concorso il suo ultimo film “La Piel Que Habito”, ovvero “La pelle che abito”, film che sarà distribuito, dalla Warner Bros Italia, nelle sale italiane a partire dal prossimo 23 settembre. “La Piel Que Habito” Buona (ma non straordinaria) accoglienza critica quella riservata all’attesissima e inedita ultima fatica di Pedro Almodovar, “La Piel Que Habito”. Il film, come è stato ampiamente preannunciato, segna uno scatto nella carriera del regista di “Tutto su mia madre”, “Parla con lei” e “Volver”. Si tratta di un consapevole prodotto di discontinuità rispetto al cinema di Pedro Almodovar come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. Atmosfere da horror che si combinano con la tensione da thriller, umorismo grottesco e surrealista alla Bunuel, funzionali alla messa in scena di una storia che racconta l’orribile vendetta di un chirurgo plastico, interpretato da Antonio Banderas, ex attore feticcio del regista, che torna finalmente a lavorare con lui, per punire il ragazzo che gli ha violentato la figlia. Espiazione e contrappasso in chiave cinica e morbosamente ironica: il violentatore sarà infatti trasformato in donna (la splendida Elena Anya), in una sorta di delirio alla Frankenstein.

La Piel Que Habito

Pedro Almodovar è molto apprezzato sulla Croisette, pur non avendo mai vinto la Palma d’Oro (conquistando invece un premio alla miglior regia nel 1999 con “Tutto su mia madre”, il premio per la miglior sceneggiatura e quello per la migliore interpretazione femminile andato all’intero cast dello struggente “Volver”). Questa è la quarta partecipazione consecutiva di Almodovar al concorso cannense. Questa volta con un prodotto molto diverso e sperimentale rispetto ai lavori per cui è conosciuto e apprezzato in tutto il mondo.

Durante la mia carriera da regista ci sono state fasi in cui ho sperimentato commedia e melodramma. Adesso sono passato al thriller, perché è un genere che ti permette tante possibilità e di esplorare, a sua volta, tanti altri generi. Io, infatti, non sono in grado di fare un thriller di genere, come si faceva negli anni Quaranta e Cinquanta: l’idea iniziale era quella di fare una cosa alla Fritz Lang, avevo addirittura pensato a una pellicola muta e in bianco e nero. Poi ho capito che volevo comunque fare un film alla mia maniera, un film di Almodovar.

Nel film Antonio Banderas è un chirurgo estetico che intende creare nuovi tessuti di pelle: scopriamo che quello che sta preparando è uno degli esperimenti più bizzarri, pericolosi e illegali che un medico abbia mai condotti. Tematiche in apparenza lontane dalla poetica di Almodovar, ma nemmeno poi troppo, come potrebbe sembrare a prima vista. Anche perché il regista spagnolo le combina con topoi narrativi a lui decisamente più cari e consoni. Continua il regista:

Ma ancora una volta metto in scena la vita di una famiglia, a differenza del libro “Tarantula” da cui sono partito per fare il film, qui il personaggio di Banderas fa parte di una famiglia che viene dal Brasile. Volevo una famiglia feroce all’esterno della cultura cristiana spagnola nella quale sono cresciuto io. Ad un certo punto la madre di Banderas, interpretata da Marisa Paredes, afferma: di avere la follia nei suoi lombi, per sottolineare come i suoi figli siano totalmente psicopatici.

Almodovar parla anche del tema degli esperimenti genetici odierni:

In “La Piel Que Habito” c’è un chiaro riferimento a Frankenstein, così come alla mitologia dei Titani o a Prometeo. Ma non è una pellicola di fantascienza, tratta argomenti attuali, come la genetica ed esperimenti che vengono condotti in Spagna mentre stiamo parlando. A Granada, ad esempio, creano pelle artificiale. L’unica cosa che ho fatto per entrare nel thriller è stata trovare un personaggio oscuro.

Almodovar e Banderas

A interpretare quel personaggio c’è Antonio Banderas, tornato a lavorare con Almodovar dopo più di vent’anni, dal film del 1989, “Legami”. A tal proposito l’attore ha affermato:

Questo film è una bellissima lezione sulla creazione. Sono fiero di fare parte dell’universo di Almodovar, lavorare con lui vuol dire tornare alle mie radici, tornare a casa.

Marco Valerio

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