
Così perdi i soldi del tuo conto - (cinezapping.com)
Lasciare i soldi fermi sul conto corrente rappresenta una scelta che, nel tempo, può costare parecchio in termini di potere d’acquisto
La vera perdita non è solo quella legata al mancato guadagno da investimenti, ma soprattutto quella causata dall’erosione del valore del denaro dovuta all’inflazione. Nonostante un lieve calo degli ultimi mesi, l’inflazione rimane un fattore determinante che riduce il valore reale dei risparmi lasciati inattivi.
Il messaggio chiave è chiaro: l’inflazione erode progressivamente il valore del denaro e l’inerzia finanziaria può tradursi in perdite reali. Per questo motivo, è fondamentale adottare strategie di gestione del risparmio che tengano conto dell’ambiente economico attuale e delle politiche monetarie in evoluzione.
Quanto si perde davvero con i soldi fermi sul conto corrente?
Secondo studi aggiornati, se oggi si depositano 10.000 euro su un conto corrente senza alcun tipo di rendimento, dopo cinque anni il loro valore reale potrebbe scendere fino a circa 8.000 euro. Questo significa una perdita netta di circa il 20% in termini di potere d’acquisto, considerando l’inflazione e le spese bancarie correnti. La situazione peggiora per somme maggiori: 50.000 euro lasciati fermi subiscono un effetto simile, con una perdita proporzionale che può superare i 10.000 euro in cinque anni.

Il motivo principale è che il tasso d’interesse offerto dai conti correnti tradizionali è tipicamente molto basso, spesso inferiore all’1%, mentre l’inflazione nell’area euro si mantiene attorno al 2%, con punte più elevate in certi periodi. Anche i conti correnti online, sebbene più convenienti in termini di spese, non riescono a compensare l’erosione causata dall’aumento dei prezzi.
Oltre all’inflazione, bisogna considerare le commissioni bancarie e l’imposta di bollo che pesano ulteriormente sul capitale. Ad esempio, su 1.000 euro depositati, dopo cinque anni potrebbero restare effettivamente solo 780 euro se si tiene conto delle spese sostenute, senza alcun rendimento.
L’inflazione è definita come l’aumento generalizzato e continuo dei prezzi di beni e servizi in un dato periodo di tempo. Questo fenomeno riduce il valore reale del denaro: con la stessa somma si possono acquistare meno beni e servizi rispetto al passato. Per l’Italia e l’area euro, la Banca Centrale Europea (BCE) mira a mantenere l’inflazione intorno al 2% nel medio periodo, ritenuto un livello sostenibile per la crescita economica.
L’inflazione ha diverse cause, tra cui l’aumento dell’offerta di moneta, la crescita della domanda in situazioni di piena occupazione, e l’incremento dei costi di produzione e dei beni importati. Il risultato è una perdita costante di valore reale dei depositi, che nel lungo termine può danneggiare seriamente il patrimonio.
Oggi, il rischio più grande per il risparmio è l’immobilismo. Lasciare il denaro “parcheggiato” sul conto corrente significa subire passivamente la perdita di valore dovuta all’inflazione, senza alcuna possibilità di recupero tramite interessi o rendimenti. Nel contesto attuale, con tassi di interesse in lieve discesa e aspettative di una politica monetaria più accomodante da parte della BCE, la prudenza non deve tradursi in inattività.
Gli esperti consigliano di valutare soluzioni di investimento diversificate, calibrate sul proprio profilo di rischio, per compensare l’effetto erosivo dell’inflazione. Si può scegliere tra strumenti a basso rischio come i titoli di Stato indicizzati all’inflazione, fondi comuni o ETF, fino a soluzioni più dinamiche che offrono potenzialità di rendimento maggiori.
In sintesi, lasciare i soldi fermi sul conto corrente significa accettare una perdita certa del potere d’acquisto, con una riduzione che può arrivare fino al 20% in cinque anni su cifre come 10.000 euro. L’inflazione, benché in fase di moderazione, continua a rappresentare una minaccia reale per il risparmio non investito.