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“Ghostbusters: Legacy”: la recensione

Ci sono dei film che, inutile negarlo, hanno segnato in maniera irreversibile l’immaginario del pubblico e facendo questo si sono ricavati un posto nella cultura di massa. Nel bene e nel male. Quel cinema degli anni Ottanta, che per una buona fetta di pubblico resta inarrivabile, ha continuato a infestare la dimensione del fantastico concedendo poco spazio nei gusti del grande pubblico per altre, nuove cose. Questo, almeno parzialmente, contribuisce a spiegare come e perché a distanza di più di trent’anni risulti ancora quasi impossibile affrancarsi da quel decennio cinematografico. E il franchising di Ghostbusters non solo non fa eccezione, ma ne rappresenta forse l’esempio più sgradevole per quel che riguarda il rapporto delle produzioni con gli spettatori (no, d’accordo il peggiore resta quello di Star Wars).



Detto ciò e accettato il fatto che siamo intrappolati per sempre negli anni ottanta come in Last Action Hero, passiamo al film. Ghostbusters: Legacy è un film molto carino, che gira molto bene in una prima parte che si prende il suo tempo per presentare i personaggi e lo fa molto bene seppur con qualche indecisione. Un po’ meno bene, ma comunque dignitosamente nella seconda, che paga il prezzo dell’essere obbligata a prevedere alcune cose in sceneggiatura per soddisfare il fandom di cui sopra. Chiariamoci subito, c’è tutto quello che vi aspettate da un film del genere, soprattutto c’è chiunque vi aspettate e anche di più. Il cast è diretto con una buona misura, ma anche lì si nota un tentativo di replicare stilemi nella rappresentazione che erano propri degli anni Ottanta. Certo, possiamo inserire i podcast nella sceneggiatura per renderla attuale, ma il cast in generale sembra preso da uno qualsiasi dei milioni di film prodotti in quel decennio. Tutti molto bravi, ma un pelo forzati, ma mai quanto le comparsate necessarie a vendere ai fan un nuovo film dei Ghostbusters.

Al netto di tutte le marchette nostalgiche, che però devo dire sono state gestite con un certa finezza, la cosa che mi ha colpito maggiormente è stato il saluto ad Harold Ramis che (vedrete) fa parte della storia del film e che mi ha commosso per la delicatezza e il garbo con la quale è stato messo in scena. In qualche modo il film vuole essere un tentativo di chiudere con un passato che sta diventando difficile da continuare a rivangare senza diventare ridicoli e l’apertura alle possibilità per il futuro. Un bilancio positivo che mi spinge a invitarvi a vederlo al cinema.


Andrea Lupia

Scrittore, disegnatore, attore e poeta lo-fi.

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