Damiano Damiani
Damiano Damiani (Pasiano di Pordenone, 23 luglio 1922 – Roma, 7 marzo 2013) è stato un regista, scrittore, attore e sceneggiatore italiano. Distintosi nel periodo fra il 1960 ed il 1962 con la trilogia psicologica “Il rossetto“, “Il sicario” e “L’isola di Arturo” (tratto dall’omonimo romanzo di Elsa Morante), fu poi esponente del filone politico-civile con “Quien sabe?” (1967), “Il giorno della civetta” (1968), tratto dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia, “Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica” (1971), forse il suo esito migliore, “L’istruttoria è chiusa: dimentichi” (1972), “Perché si uccide un magistrato” (1974), “Io ho paura” (1977), “L’avvertimento” (1980), “Amityville Possession” (1982), “Pizza Connection” (1985), “L’inchiesta” (1987), “Il sole buio” (1989), “L’angelo con la pistola” (1992). Per la televisione ha diretto, tra l’altro, gli sceneggiati “La piovra” (1984) e “Il treno di Lenin” (1988). È scomparso nel 2013 all’età di 90 anni per un’insufficienza respiratoria.
Lo dico con il cuore e con le lacrime agli occhi: io a Damiano Damiani gli devo tutto. Non sarei diventato quello che sono adesso, Damiano mi ha fatto conoscere non solo in Italia ma nel mondo perché “La piovra” l’hanno vista e amata ovunque. Ha reso il personaggio del commissario Cattani il simbolo universale della lotta alla mafia e ancora oggi vivo di quella gloria. Abbiamo lavorato insieme tante volte e frequentato tante serate. E’ stato un regista che mi ha formato più di tutti, mi ha fatto amare il cinema americano più di quanto lo amassi, è stato per me una grande scuola, un maestro vero.
Queste le parole di Michele Placido riportate dall’Agenzia Ansa, dalle quali traspare vero cordoglio per la perdita di un un amico e di un mentore. Damiano Damiani è un nome meno conosciuto ai più, ma fondamentale a chiunque si addentri nel cinema italiano dell’epoca in cui era il migliore del mondo. Professionista infaticabile e corretto con i suoi collaboratori, ha lasciato molti bei ricordi ed il rimpianto delle condizioni in cui versa oggi il cinema italiano.
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