
Così puoi tutelarti dai carichi di lavoro troppo pesanti - (cinezapping.com)
La Corte di Cassazione ha sostenuto la responsabilità del datore in caso di infarti legati a turni eccessivi. La sentenza che cambia tutto
Il confine tra prestazione lavorativa lecita e carico eccessivo è definito dall’articolo 2087 del Codice Civile, che impone al datore di lavoro di tutelare la salute del dipendente. Affinché vi sia risarcimento, il lavoratore deve dimostrare il danno, l’ambiente nocivo e il nesso causale. La giurisprudenza prevede che, una volta stabilita una condizione dannosa, l’azienda deve provare di aver adottato misure preventive. I risarcimenti possono variare, con importi anche superiori a 50.000 euro in casi gravi.
Il confine tra una prestazione lavorativa accettabile e un eccessivo carico di lavoro è spesso sfumato e non facilmente definibile. Tuttavia, tale distinzione è di fondamentale importanza e trova fondamento giuridico nell’articolo 2087 del Codice Civile italiano. Questa norma stabilisce chiaramente che il datore di lavoro ha l’obbligo di tutelare l’integrità fisica e psicologica dei propri dipendenti, garantendo un ambiente lavorativo sano e organizzato. L’obiettivo è quello di prevenire sovraccarichi psico-fisici, che possono derivare da condizioni lavorative inadeguate.
La responsabilità del datore di lavoro
La responsabilità del datore di lavoro non è un semplice dovere formale, ma si traduce in un impegno concreto che si estende non solo alla sicurezza fisica, ma anche alla quantità di lavoro assegnata e alle condizioni operative quotidiane. Quando i carichi di lavoro diventano eccessivi, ripetitivi o inadeguati, si configura una violazione di questa responsabilità. La soglia oltre la quale la pressione lavorativa diventa dannosa è valutata attraverso criteri sia oggettivi che soggettivi. Si considerano, infatti, non solo le mansioni richieste, ma anche lo stato di salute del lavoratore, la durata dell’esposizione a carichi pesanti e la reale possibilità di gestire tali carichi senza conseguenze negative.

Un recente esempio di giurisprudenza è fornito da un’ordinanza della Corte di Cassazione (n. 6008 del 2023), in cui viene ribadita la responsabilità del datore di lavoro nei confronti della salute dei dipendenti. In questo caso specifico, un medico ospedaliero ha subito un infarto a causa di turni di lavoro eccessivi, privi di adeguate pause. La Corte ha stabilito che la struttura sanitaria avrebbe dovuto riorganizzare le turnazioni o assumere personale temporaneo per evitare un aggravamento dello stress lavorativo. Questo intervento della Cassazione sottolinea l’importanza della salute dei lavoratori, che deve avere la precedenza su considerazioni di tipo gestionale o di bilancio.
Per ottenere un risarcimento per danni derivanti da un eccessivo carico di lavoro, il lavoratore deve dimostrare tre elementi chiave: il danno subito, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso causale tra i due. Il danno può manifestarsi in diverse modalità: fisica, come infarti o malattie cardiovascolari, o psichica, come ansia, depressione o sindrome da burnout. La documentazione medica, le diagnosi specialistiche e le relazioni psicologiche diventano quindi fondamentali per attestare il danno subito.
È interessante notare che la giurisprudenza ha stabilito che non è necessario dimostrare un intento doloso o colposo da parte del datore di lavoro per ottenere il risarcimento. Una volta provata la nocività dell’ambiente lavorativo, l’onere della prova si inverte: spetta all’azienda dimostrare di aver adottato tutte le misure necessarie per prevenire il danno. Ciò include l’organizzazione del personale, l’assegnazione delle mansioni e l’implementazione di misure per favorire il recupero psico-fisico dei lavoratori.