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“Dreamland – La terra dei sogni”: perché?

Il pubblico potrà indignarsi ad oltranza, darmi della critica improvvisata o dell’incompetente, non ho alcuna pretesa, vorrei solo che lo spettatore medio italiano rispondesse al mio quesito: “Dreamland – La terra dei sogni” può essere considerato un film?

Dreamland

Uscito lo scorso 8 luglio, il film è diretto da Sebastiano Sandro Ravagnani (un nome, una garanzia!), autore televisivo che a un certo punto ha deciso di buttarsi, come molti altri, sul grande schermo. E fin qui, nulla di male. Almeno fin quando non prendiamo in considerazione il fatto che, nome a parte, il film sembra essere stato realizzato da Maccio Capatonda e i vari Luigi Liegibastonliegi. E se c’è una cosa che stupisce ulteriormente, è la presenza di un attore del calibro di Tony Sperandeo, e c’è anche Marco Balestri! Il protagonista di questa storia è un altro nome che equivale a garanzia, Franco Columbu, l’unico italiano ad aggiudicarsi il titolo di Mister Olympia, caro amico di Arnold Schwarzenegger che ultimamente, viste le malefatte, di certo non è un’amicizia di cui vantarsi. Insieme a lui c’è il gonfiatissimo Ivano De Cristofaro, il Mister più bello d’Italia-USA 2009, ennesima garanzia di questa pellicola, “per la prima volta”, e si spera ultima, sul grande schermo. Un viaggio da migrante, dal Sud Italia verso l’America, una storia vista tante volte, che però in questo caso funziona malamente. Vi lasciamo il trailer per farvi un’idea di quello che potreste trovarvi davanti, nel caso in cui vi venisse voglia di vederlo. Dopo “6 giorni sulla terra” (checché ne dicano i seguaci di Malanga e i profeti delle abductions) con “Dreamland – La terra dei sogni” possiamo considerare il cinema italiano momentaneamente morto e sepolto. Momentaneamente, dico, perché si spera che qualcuno arrivi in soccorso di noi poveri spettatori e ci regali un’opera che sia degna di nota. Perché “Dreamland“, che avrà pure un sequel, non può considerarsi un’opera e non regge nemmeno per un istante la giustificazione “è stato riconosciuto dal Ministero dei Beni Culturali“, perché è evidente ormai da tempo che in questo Paese, e non solo cinematograficamente parlando, c’è qualcosa che non va. Tra un bicipite e l’altro, c’è una frase che racchiude in sé tutto il pensiero che sta dietro a questo film: “Tutti gli uomini hanno un dono. Io non so quale sia il mio“. A me piace pensare che questa frase sia assolutamente autobiografica, che sia ciò che Ravagnani ha pensato di se stesso, dopo aver guardato attentamente le immagini che aveva messo insieme. “Il film che scriverà una pagina di storia del cinema italo-americano”. Strappiamola, và. [jwplayer config=”120s” mediaid=”29297″]
sally

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