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Published on Luglio 4th, 2011 | by Marco Valerio

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Albanese dice addio a Cetto Laqualunque

Cetto Laqualunque deve morire. Anzi è già morto. A dare l’annuncio della notizia è l’alter ego del corrotto politico calabrese, ovvero l’attore Antonio Albanese, la geniale mente che ha partorito questo personaggio specchio grottesco, ma tragicamente fedele alla realtà, dei nostri tempi. Cetto Laqualunque è il personaggio di maggior successo di Albanese, incarnazione di tutti i mali, le ipocrisie e le bassezze morali dell’Italia contemporanea. Laqualunque è un uomo perverso e depravato, che ha un grande disprezzo verso la natura, la tradizione e le donne, che considera un vero e proprio oggetto di cui fare uso quando si vuole; il tutto rielaborato in una efficace e sorprendente chiave comica. Il personaggio è apparso per la prima volta sugli schermi Rai nel 2003 all’interno del programma Non c’è problema, ma il grande successo lo ha ottenuto quando Antonio Albanese ha collaborato con la Gialappa’s band nel programma Mai dire domenica su Italia 1 dove più volte fa notare la sua passione per la squadra della Reggina.

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Antonio Albanese / Cetto Laqualunque | © Vittorio Zunino Celotto/Getty Images

Nel 2007 Cetto Laqualunque è ospite fisso del programma Che tempo che fa del sabato condotto da Fabio Fazio. Proprio nel programma di Fazio appare il nuovo tormentone: parlando di qualcosa che non sopporta conclude dicendo: “Francamente, ‘ntu culu a (dice il nome dell’interessato)!”. Altre sue celebri frasi sono: “Liberté, egalité, ‘ntu culu a te!”, che parafrasa il motto Liberté, Égalité, Fraternité della Rivoluzione francese e “I have no dreams. Ma mi piace ‘u pilu”, chiaro riferimento al discorso I Have a Dream di Martin Luther King. Lo scorso gennaio Cetto è diventato protagonista di un film che ha sbancato i botteghini italiani ed è stato presentato allo scorso Festival di Berlino: stiamo parlando ovviamente di “Qualunquemente”, da poco uscito per il mercato dell’home video. Nonostante lo straordinario successo che il personaggio ha riscosso, Laqualunque è da considerarsi ormai morto. Albanese lo annuncia dalle colonne del Corriere della Sera e spiega al giornalista Aldo Cazzullo le ragioni che hanno motivato questa soluzione:

Non ne faccio solo una questione politica. Quando Cetto si infila nella vasca idromassaggi con tre prostitute e dice “ciao, società civile, ciao!”, non evoca solo gli scandali sessuali della destra, ma anche gli assessori di sinistra che incassano tangenti in natura in cambio di un appalto. Quello che la politica ha fatto a tante donne italiane mi indigna profondamente, mi fa arrabbiare come una bestia. Anche per questo non mi sono piaciuti i manifesti della festa dell’Unità con il vento che solleva una gonna. Le reazioni polemiche sono state spropositate. Però quei manifesti non erano belli. I creativi dovrebbero creare di più e di meglio. Però il vento, secondo Albanese, sta cambiando davvero, al di fuori degli assessorati e delle feste di partito. Io credo sul serio, come dico nel film, che un padre senza un figlio può prendere una brutta piega. Oggi sono spesso i figli a educare i padri. Consideriamo quanto è accaduto ai referendum. Il quorum non se l’aspettava nessuno. Però stavolta non si votava per i partiti o per gli interessi privati: si votava sugli elementi primordiali, aria acqua terra fuoco. I giovani si sono ritrovati nelle comunità costruite dalla Rete, e hanno portato alle urne il resto della famiglia. Racconta Albanese che Cetto La Qualunque nasce dal lavoro di anni passati a osservare gli italiani. La furbizia, l’arte di arrangiarsi, il disprezzo per la cosa pubblica, il tornaconto personale che prevale sull’interesse generale. Dalle parti di mio padre, in Sicilia, dicono: “Pe’ mmia cu cc’è?”. In Veneto sento chiedere: “A me che mi vien?”. Il concetto è lo stesso. Ecco, un certo modo di intendere la vita sociale sta stretto alle giovani generazioni. Si comincia a capire che la politica ha sì bisogno di partecipazione, ma non è una cosa che possono fare tutti e chiunque. Richiede gente appassionata, preparata, credibile». «Uno dei cambiamenti più interessanti è il rispetto ritrovato per il lavoro. La crisi ci ha insegnato che non è la finanza a fare la ricchezza delle nazioni, ma l’uomo. Mio padre era nato sulle Madonie, uno dei posti più belli d’Italia, e uno dei più poveri. Cinquant’anni fa per sopravvivere andò a fare il muratore nell’angolo opposto d’Italia, a Lecco. Ancora oggi dalla mia terra la gente emigra. Io sono andato a lavorare in fabbrica a quindici anni, a Olginate, e ne sono uscito a ventidue per fare il militare e tentare la sorte a Milano. Saprei ancora usare una fresatrice, un tornio, un trapano radiale. Ho un grande rispetto per il lavoro fatto con le mani, con gusto, passione, abilità. Mi addoloro quanto sento parlar male degli artigiani, quando per offendere qualcuno si dice che è un macellaio: cosa c’è di più bello di un macellaio che in bottega affetta la carne con la precisione di un chirurgo? Ebbene, dopo anni in cui il lavoro è stato denigrato e deriso, ora vedo i segni di un’attenzione diversa. Gli operai, i lavoratori rivendicano la loro dignità, e questo è un bene per tutti. Lei Albanese dice così perché sta sulle Dolomiti, lontano dall’«onda calabra» e da Marina Di Sopra, la Macondo di Cetto La Qualunque, la capitale immaginaria ma non troppo del degrado italiano. Guardi che Marina Di Sopra è dappertutto. Anche al Nord. Ma il futuro non le appartiene. Più che nel riscatto civile, spero nel buonsenso degli italiani. A lungo andare, la furbizia, la mafia, l’abusivismo fanno male a tutti. Cerco di dirlo con il sorriso, perché viene meglio che dirlo con il sopracciglio alzato. Mettiamo a nudo la volgarità generata dall’incontro tra il benessere e l’ignoranza. E riprendiamoci lo spirito popolare che ha fatto grande il nostro Paese.

 

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