Recensioni IL SEMINARISTA di Gabriele Cecconi 34

Published on Novembre 15th, 2013 | by sally

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Il Seminarista: la recensione

Il Seminarista: la recensione sally
Voto CineZapping

Summary: Apprezzabile l'intenzione del regista, la sceneggiatura però troppo spesso si dilunga e si disperde.

2

Sceneggiatura da limare


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In occasione della 50 Giorni di Cinema Internazionale a Firenze e nell’ambito del PerCorso tra i nostri autori, abbiamo assistito alla proiezione de “Il Seminarista” di Gabriele Cecconi, un film che mette in discussione molti aspetti della Chiesa Cattolica, in particolare sulla formazione dei sacerdoti all’interno del seminario, i giovani protagonisti di questo primo lungometraggio del regista, realizzato con un basso budget.

La storia de “Il Seminarista” è ambientata nella Prato degli anni Cinquanta, il piccolo Guido (interpretato nelle varie fasi della sua vita da Filippo Massellucci, Andrea Pelagalli e Gianluigi Tosto) sente di avere la vocazione e a dieci anni decide di entrare in seminario, senza sapere però cosa lo aspetta. Il mondo che Guido aveva tanto sognato, si rivelerà pieno di regole talvolta incomprensibili e difficili da rispettare, soprattutto per un bambino. Attorno a lui gli altri undici compagni che hanno scelto di diventare seminaristi per i più svariati motivi: tra questi, sembra avvertire più di tutti la sua vocazione Giuliani (Andrea Cerofolini, Gianmarco Dolfi), bambino ammalato ma forte di spirito che ha un motto tutto suo, “sacerdote e santo“, ma che non farà in tempo a concludere il suo percorso a causa della sua malattia. E poi c’è la figura di Pugliese (Marco Nanni, Andrea Anastasio), un ragazzo senza padre continuamente deriso dai compagni, maltrattato dai sacerdoti-insegnanti, considerato un bastardo e troppo povero per potersi permettere una vita al di fuori del seminario. In questo mondo racchiuso tra le mura del posto, le vite di questi tre giovani si incontrano per dare inizio ad una solida amicizia. In mezzo a tutte le difficoltà vissute negli anni, è il gesto di ribellione di Pugliese che fa vacillare la fede e la dedizione di Guido: a questo si aggiungono le pulsioni sessuali dell’adolescenza, completamente represse dal Padre Spirituale (Giorgio De Giorgi) e da un prefetto particolarmente severo (Francesco Tasselli) e la nascita di un amore, la visione idilliaca della guida scout Giulia (Giulia Anastasio) durante la messa, il sogno di una vita normale e senza imposizioni prive di senso logico, la morte di Giuliani e l’addio di Pugliese un mese prima della fine del percorso, portano Guido a prendere la sua decisione.

Il Seminarista

Il Seminarista

Lo ritroviamo, molti anni dopo, ad insegnare storia e a guardare il suo passato dall’altra parte del muro, quella che da piccolo lo faceva sognare, lì dove aspettava Giulia per darle le sue lettere, il cancello dietro il quale si nascondeva il mondo e pullulava tutte le vite che a lui sembravano essere state negate.

A livello concettuale “Il Seminarista” è un bel film, che fa riflettere e che mette sul tavolo alcune questioni dibattute per anni: la Chiesa, madre severa, che non cambia idea da millenni, che impone pratiche incomprensibili e inaccettabili per un bambino di dieci anni e non permette di esprimersi in ogni forma, che reprime il desiderio sessuale e vive nella continua ossessione del peccato; viene affrontato, senza pesantezza nè invadenza e soprattutto senza farlo diventare un cliché, anche il problema della pedofilia e, seppure non direttamente, emerge la figura di Don Lorenzo Milani, controversa nella Chiesa Cattolica dell’epoca, il sacerdote fu allontanato a causa di un libro che metteva in discussione molti dei precetti del cattolicesimo.

A livello tecnico, invece, il film lascia un po’ a desiderare: bisogna partire dal presupposto che è stato realizzato con un budget davvero ridotto e gli attori sono per la maggior parte esordienti. La sceneggiatura si perde spesso, si dilunga eccessivamente e la recitazione, come si può dedurre, non è delle più eccelse, mancano ritmo ed alchimia. Al di là di questi errori, dovuti appunto anche alla mancanza di fondi adeguati, il filo conduttore del film è ben chiaro, le intenzioni sono comprensibili e del tutto apprezzabili. La storia di Guido, poi, viene narrata in bianco e nero, come a voler indicare l’arretratezza della Chiesa, il passato che rivive, ma anche l’austerità dei luoghi e dei volti che circondano il ragazzo. Sceneggiatura da limare, rimodellare in alcuni tratti per rendere il film più godibile.

 

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