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Published on Maggio 27th, 2018 | by sally

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Tredici: la recensione della seconda stagione della serie Netflix

Tredici: la recensione della seconda stagione della serie Netflix sally
Voto CineZapping

Summary: Gli argomenti trattati sono tutti ugualmente importanti ma è la sceneggiatura a non convincere.

2

Un'occasione mancata


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L’attesa seconda stagione di “Tredici” (13 reasons why) è stata rilasciata nei giorni scorsi da Netflix. La prima stagione ha fatto molto discutere per le tematiche trattate e c’era molta attesa per le numerose domande rimaste senza risposta.

Netflix ha tentato di aggiustare il tiro dopo le numerose polemiche a seguito della release della prima stagione ma lo ha fatto solo parzialmente. E le famose risposte rimaste in stand-by per un anno sono la base di una sceneggiatura più forzata che mai. Va bene cavalcare l’onda del successo ma quando si ha per le mani una serie come “Tredici” e le tematiche delicate che tratta, è bene usare un po’ più di accortezza. La speranza era quella che non rimanesse un teen drama (spesso troppo drama) ma non è andata così.


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Lati positivi e negativi

Partiamo da un presupposto: meglio “Tredici” con una sceneggiatura traballante piuttosto che il nulla assoluto. Questa serie ha il merito di aver trattato moltissime tematiche di cui non si parlerà mai abbastanza – a prescindere dalle polemiche, che sono una conseguenza naturale quando si parla di argomenti simili. Suicidio, bullismo, stupro, armi, omofobia, gli ingredienti ci sono tutti e vengono trattati senza tabù ma a volte la sceneggiatura rischia di metterli in luce nel modo sbagliato.

La fragilità è una caratteristica tipica dell’adolescenza ma in “Tredici” viene messa eccessivamente in risalto, come se fosse l’unica caratteristica. Se è vero che le cose, anche quelle che possono apparire più piccole, vengono vissute in maniera diversa e con diversa intensità dai singoli soggetti, è vero anche che questa serie tende ad estremizzare molto spesso. Viene descritta una situazione che spesso non sembra aderire del tutto della realtà, anche facendo lo sforzo di immaginarla diversa, all’interno di una cultura distante dalla nostra, come quella americana. Alcuni espedienti narrativi (vedi le conversazioni tra Clay e Hannah) a tratti sfiorano il ridicolo e la storia di Hannah Baker (Katherine Langford) non è stata rispettata in toto. L’attrice ha già comunicato che non sarà nella prossima stagione della serie, una terza arriverà di certo, considerato il cliffhanger in chiusura. Un addio ad Hannah è stato debitamente dato ma la sua storia è stata manipolata per “allungare il brodo”, con il risultato che gli episodi sono eccessivamente lunghi, ridondanti, e la sua figura spesso diventa fastidiosa. Proprio come accadeva nella prima stagione, si finisce con il non empatizzare più con la vittima e non comprendere a fondo le motivazioni della sua scelta. Con l’aggiunta di ulteriori dettagli alla sua storia, che sarebbero serviti da chiarimento a molte delle domande rimaste in sospeso nella prima stagione, la figura di Hannah ne esce massacrata.

È importante che venga rimarcato un altro messaggio: dobbiamo essere tutti responsabili delle nostre azioni e ricordare che tutto quello che facciamo ha delle conseguenze. Che a loro volta si ripercuotono su di noi e sugli altri. Ma è importante anche non ripetere lo stesso messaggio (questo, ma non solo) fino a sfinire lo spettatore. Cosa che molto probabilmente accade per mancanza di contenuti concreti nello script, per questo motivo molte storie finiscono col perdere di credibilità. Fatta eccezione per Tyler (Devin Druid) e Jessica (Alisha Boe), quasi tutti i personaggi risultano al centro di una sceneggiatura forzata, traballante e melò, nella quale spesso sembrano mancare collegamenti e fili logici con la prima stagione. Altri personaggi, come Skye (Sosie Bacon) sono un’opportunità mancata, il risultato di decisioni prese frettolosamente. Perfino il finale sarebbe potuto essere diverso, per compiere l’evoluzione di Tyler e rendere ancora una volta la serie capace di trattare tematiche attuali e scottanti, ma non è andata così. Il motivo è piuttosto chiaro, c’è la produzione di una nuova stagione in ballo. Hannah Baker, bene o male, ha fatto il suo corso, è arrivato il momento di dirle addio e andare avanti. In una realtà che sembra essere un incubo senza scampo, in cui la disillusione regna sovrana e la giustizia non offre motivi validi per credere il contrario, le speranze traballano a braccetto con la sceneggiatura. Ma piuttosto che il silenzio assoluto, ripetiamolo, è bene che se ne parli e che se ne continui a parlare, con tutte le polemiche del caso.


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