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Published on Gennaio 13th, 2010 | by Giuseppe Guerrasio

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“Avatar”: recensione da New York

Locandina di "Avatar"

Locandina di "Avatar"

Mentre “Avatar” continua ad infrangere ogni record e il popolo italiano attende nel prossimo weekend l’esordio nele sale cinematografiche nostrane, gli amici di NUOK sono andati a vedere il nuovo film di James Cameron a New York e Leonardo Staglianò ha scritto una recensione approfondita dandoci il permesso di pubblicarla.  Vi proponiamo la sua recensione in attesa di vederlo anche noi. ATTENZIONE: La Recensione contiene spoiler, continuando a leggerla vi verrano rivelati alcuni dettagli del film. Siamo nel futuro. Pandora è un mondo simile alla Terra, ma molto più colorato e dotato di una natura straripante. I suoi abitanti si chiamano Na’vi e sembrano un incrocio fra un essere umano e un gatto spaziale; sono alti e snelli, blu, hanno la coda e vivono nella foresta, che è selvaggia e popolata di animali ibridi: elefanti con musi da pescespada, pantere nere con corna da triceratopo e via dicendo. Su Pandora ci sono anche degli alieni, e non sono proprio degli stinchi di santo. Sono lì per trivellare il sottosuolo alla ricerca di un materiale raro e pregiato, denominato unobtanium, e l’unico motivo per il quale evitano scontri con i Na’vi è che questi potrebbero offrirgli informazioni circa la preziosa sostanza. Gli alieni, è chiaro, siamo noi. Gli umani in missione su Pandora sono di due tipi: militari che garantiscono la sicurezza, e scienziati che studiano la vita sul pianeta. Per meglio comunicare con gli indigeni, gli scienziati hanno creato degli avatar, ovvero dei corpi viventi in tutto e per tutto simili a quelli dei Na’vi, ma comandati mentalmente da esseri umani adeguatamente addestrati. E qui compare Jake, il protagonista della nostra storia. Jake è un ex marine, dunque uno che è abituato a obbedire, ma non gli viene richiesto di combattere: ha perso l’uso delle gambe, ed è stato portato su Pandora per lavorare con gli scienziati. Il fratello gemello di Jake era la guida mentale di un avatar, e il nostro eroe ha accettato di rimpiazzarlo. Chiaramente è un rischio, una scommessa, ma Jake – in una sequenza che strizza l’occhio al miglior Forrest Gump – strappa subito consensi ai suoi colleghi (e anche qualche lacrimuccia fra il pubblico). Non appena “prende possesso” del corpo del suo avatar, Jake fa quello che più desidera, con tutto il suo cuore: muove le gambe. E non si limita a camminare, ma corre! Anzi, scappa via, in barba a tutte le regole e le precauzioni del caso. Quando finalmente si ferma, Jake è stanco e sudato, ma felice: ride, e noi con lui. Da questo momento in poi la trama, come ha riconosciuto lo stesso James Cameron (regista e scrittore del film), è paragonabile a quella di Balla coi lupi. Jake entrerà in contatto coi Na’vi, in particolare con la bella Neytiri, che gli farà conoscere e amare il loro mondo. Dietro l’impegno di fornire informazioni circa l’unobtanium, Jake otterrà di vivere con gli indigeni, ma l’esperienza lo modificherà a tal punto da ribellarsi ai suoi stessi simili – i cattivi trivellatori – e lottare per i Na’vi. Non sveliamo il finale, ma riportiamo una notizia che fornisce qualche indicazione a riguardo: tra i rumors che accompagnano l’uscita del film, vi è quello secondo cui Cameron starebbe già pensando al sequel (anzi, due ulteriori episodi), e di norma non è tanto facile girare un sequel se il protagonista muore nel primo episodio… Avatar sta facendo molto parlare di sé, e principalmente per due motivi: le tecnologie digitali che utilizza, e i notevoli incassi. In neanche venti giorni ha guadagnato 1 miliardo di dollari, e tutto fa credere che supererà il record assoluto (1 miliardo e 800 milioni), stabilito da un altro film dello stesso Cameron, Titanic. Sotto questo profilo, senza dubbio ha avuto un ruolo rilevante la massiccia campagna di marketing legata al film: basti pensare che, a fronte di un budget di circa 300 milioni di dollari, ne sono stati spesi almeno 150 in pubblicità. Riguardo gli effetti speciali, è noto che Cameron aveva scritto la storia già una quindicina di anni fa, ma ne ha rimandato la realizzazione perché insoddisfatto delle tecnologie dell’epoca. È interessante notare che il regista non fa riferimento al 3D, ma piuttosto a una particolare tecnica digitale capace di cogliere le espressioni facciali degli attori (motion capture). Mentre in passato gli attori recitavano, venivano filmati e in seguito le immagini del loro viso corrette in post-produzione, adesso è possibile trasformare – in tempo reale – l’attore nel suo corrispettivo digitale. Questo significa che mentre Cameron filma Sigourney Weaver, nel suo schermo compare la versione digitale dell’attrice newyorkese (una gattona blu con l’inconfondibile mascella). Una conseguenza importante di questa tecnica è la piena restituzione agli attori del loro mestiere: il computer non crea i loro sorrisi, ma si limita ad adattarli – fedelmente – alle dimensioni del viso e del corpo del personaggio digitale. È questa la vera rivoluzione portata dal film. A un livello di lettura più profondo, è a questa nuova frontiera della recitazione che allude il titolo del film: d’ora in poi, sembra suggerire Cameron, sui nostri schermi vedremo sempre meno attori in carne e ossa, e sempre più “avatar” – ovvero creature digitali con le fattezze ed espressioni dei nostri beniamini. Allo scopo di sviluppare in tutto il suo potenziale la tecnica del motion capture, Cameron ha scelto – con intelligenza e raffinatezza – di non sovraccaricare la nostra esperienza di spettatori con un 3D aggressivo e ad effetto. In questo film il tridimensionale ha quale unico scopo quello di farci entrare – delicatamente, quasi con dolcezza – nel fantasmagorico mondo dei Na’vi. E il risultato è davvero notevole. In mezzo a tutto questo clamore, cosa resta della storia? Come valutare il film dal punto di vista artistico? Non c’è dubbio che Cameron ha costruito un progetto organico, in cui la trama e le immagini (non solo gli effetti speciali) si supportano a vicenda, e non a caso è sia regista che sceneggiatore del film. È altrettanto innegabile che la storia ha una struttura salda, che rispetta alla lettera le regole del blockbuster hollywoodiano: i colpi di scena sono al momento giusto, i cattivi fanno paura, l’eroe riscuote la nostra simpatia e c’è anche una storia d’amore. Che chiedere di più? Rubando le parole a un sagace lettore del New York Times, potremmo dire che Avatar è un film 3D con personaggi pressoché bidimensionali. I buoni sono davvero buoni, e i cattivi proprio cattivi: mancano le zone grigie. Jake ci sta simpatico, ma non ci conquista. Fin dall’inizio è chiaro che sceglierà il mondo dei Na’vi; non vive mai un reale dissidio. Molti dialoghi mancano di spessore. E, a dirla tutta, la canzone di Leona Lewis ricorda moltissimo la (già insopportabile) colonna sonora di Titanic, cantata da Celine Dion. Quello che dispiace, sinceramente, è che l’accuratezza e l’attenzione dedicate alla (ri)costruzione del mondo di Pandora non abbiano trovato un’adeguata corrispondenza nello sviluppo dei personaggi. Non ci si aspettava certo la profondità psicologica di Godard o l’irriverente intelligenza di Wes Anderson, ma il film di Cameron – per sua stessa natura – si pone a metà fra un cartoon e un buon film d’avventura, e se questo vale per le immagini, deve valere anche per la storia.

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